Martedì 2 ottobre 2018
ore 16
SEZIONE DI STORIA LETTERE E ARTI
Sala dei Presidenti
Graziella Martinelli Braglia
La chiesa di San Domenico a Modena, “Tempio Palatino” all’epoca del Duca Cesare
Con l'insediarsi della corte di Cesare d'Este a Modena, a partire dal 1598, la medievale chiesa annessa al convento dei domenicani - fra le più prestigiose della città - assume il ruolo di tempio palatino, anche per la sua prossimità al Castello estense. Numerose e significative le opere intraprese dallo stesso duca, dalla sorella di lui Eleonora Gesualdo di Venosa e dalla corte a qualificazione di San Domenico, risultando insufficienti per i rituali cortigiani la "chiesa in Castello" e la cappella della Natività presso l'appartamento del duca, per il cui arredo pittorico erano stati interpellati, senza esiti, Caravaggio e Annibale Carracci. Nel 1604 il tempio accoglie la cappella "della nazione ferrarese", intitolata ai santi Giorgio e Maurelio, patroni di Ferrara; attorno al 1615, su disegno di Pasio Pasi vi si erige il nuovo sacello della Madonna del Rosario, collegato al Castello estense dal 1620, mediante un corridoio-cavalcavia progettato da Antonio Vacchi; fra il 1623 e il 1625 vi sorge la sontuosa cappella di Santa Barbara realizzata dai reggiani Pacchioni, che innalzerà la Sacra Famiglia e sante commissionata dalla principessa Eleonora al ferrarese Carlo Bononi, e diverrà luogo di varie sepolture estensi.
Lo studio, con inediti ritrovamenti archivistici, riconnette le committenze principesche in materia religiosa alle consuetudini di origine ferrarese e ai modelli devozionali di altre corti, dei Gonzaga, dei Farnese, dei Medici, e in particolare della corte spagnola nella cui orbita quella estense gravitava.
Luca Silingardi
Un allievo di Gian Lorenzo Bernini al servizio di Casa d’Este Mattia de’ Rossi per il Palazzo Ducale di Sassuolo
La rilettura di alcune testimonianze archivistiche e l’attribuzione in questa sede di un importante disegno della seconda metà del XVII secolo, raffigurante una suggestiva soluzione progettuale per il prospetto meridionale del Palazzo Ducale di Sassuolo, gettano nuova luce sul ruolo che l’architetto romano Mattia de’ Rossi (1637-1695), fidato collaboratore di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), potrebbe avere avuto – a livello ideativo – anche all’interno del cantiere sassolese, grazie alla mediazione del cardinale Rinaldo d’Este, presso cui de’ Rossi era impegnato a Tivoli e non solo. Si giustificherebbe così quella originalissima “artificiosa naturalità” di matrice berniniana, estranea alla locale cultura architettonica, che accomuna il disegno per Sassuolo alla scenografica soluzione di Bernini per il Castello degli Altieri a Monterano, nel cui cantiere era presente de’ Rossi, aprendo anche a suggestive ipotesi circa un suo possibile coinvolgimento anche nell’ideazione dello scenografico apparato roccioso della Peschiera ducale, fino ad oggi riferito esclusivamente agli architetti Bartolomeo Avanzini (c. 1608-1658) e a Gaspare Vigarani (1588-1663). La riflessione offre poi lo spunto per restituire al pittore modenese Francesco Stringa (1635-1709), dal 1685 sovrintendente alle fabbriche ducali, un disegno per l’adattamento del paliotto argenteo del Duomo di Reggio Emilia, recentemente riferito dalla critica a Mattia de’ Rossi.