23/09/2014 23 settembre 2014, ore 15,30
prof. Agostino De Pretis e prof.ssa Rita Ferrari
Liceo Classico “San Carlo” di Modena
Quale atteggiamento mostra Filippo De Pisis (Ferrara, 1896 – Milano, 1956) nei riguardi dell’Antico, in un contesto, quello tra le due guerre mondiali, in cui in tutta Europa si assiste in campo culturale, dopo le sperimentazioni d’avanguardia, a un “ritorno all’ordine” e al recupero dei modelli classici? Troppo frequentemente si è visto in lui un epigono dell’impressionismo o, meglio, di certo postimpressionismo o, ancora, il continuatore di una pittura tipicamente veneta, nel solco di un Guardi, tanto per intenderci. Altri lo ha messo in rapporto con l’espressionismo, di un Kokoschka soprattutto. Se tutto ciò è, in parte, vero, non è sufficiente ad acclarare la complessa personalità del maestro ferrarese, che è anche di scrittore (e poeta) nutritosi di studi greco-latini, quale volle innanzitutto essere agli inizi del suo percorso, risolvendosi poi di realizzarsi come pittore “lirico”. Si vedrà, in effetti, come la classicità sia ben presente in De Pisis ma sia tutt’altro rispetto quella di un Sironi, di un Campigli, o del suo concittadino Funi, stando ai pittori italiani suoi coetanei o di poco più vecchi impegnati in una rievocazione delle forme (più architettonico-scultoree che pittoriche) e dei contenuti alle radici dell’arte italica. In De Pisis non vi è nulla di monumentale né la sua “metafisica” introduce agli spaesamenti delle libere associazioni dechirichiane: nella sua pittura i soggetti (natura morta, veduta, nudo efebico, ritratto, personaggi del mito) sono trattati nelle forme mnemoniche e compendiarie della decorazione parietale romana ovvero tratteggiati velocemente ed evocati come realtà sensuali e illuminazioni improvvise che il pittore ferma per un attimo sulla tela prima che l’incanto poetico della bellezza svanisca. In luogo della solidità granitica delle forme, dell’esaltazione dei “valori plastici”, in De Pisis tutto si disfa e corrompe: la pittura è poesia pura, intensa non solenne, legata ineluttabilmente alla brevità.